Disturbi Alimentari nella Prima Infanzia

Da sempre i genitori si preoccupano della nutrizione dei propri figli poiché una sana ed equilibrata alimentazione favorisce un altrettanto sano sviluppo del bambino, soprattutto nei primi anni di vita.
Un Disturbo dell’alimentazione insorge quando si incontrano dei disagi, di diversa intensità, durante il processo di nutrizione più o meno duraturi nel tempo.

In realtà esistono dei momenti critici in cui l’insorgere di piccoli rifiuti di cibo da parte del bambino, è frutto della fase dello sviluppo che sta vivendo.

Uno di questi delicati momenti è quello dello svezzamento, in cui si passa da cibi liquidi (il latte) a cibi più consistenti (le pappe). In questo periodo, è utile che l’adulto che nutre il bambino, comunichi al piccolo la propria tranquillità e sicurezza, poiché l’introduzione di un cibo nuovo e diverso può essere per lui fonte di ansia.

Tra le condizioni più frequenti, vi è quella del bambino che mangia solo alcuni cibi, a discapito della varietà alimentare: in alcuni casi, caratteristiche come il colore o la forma dell’alimento, possono influenzare la scelta; in queste situazioni, è necessario stimolare il bambino con altri cibi per riattivare la curiosità verso nuovi sapori.

Mentre alcuni bambini respingono il cibo mettendo in atto condotte di rifiuto durante il momento della nutrizione, altri ricorrono al vomito.

Nei casi più gravi, si può arrivare ad un vero e proprio disturbo della nutrizione della prima infasnzia, ossia l’incapacità di mangiare adeguatamente, come manifestato dalla significativa impossibilità di aumentare di peso o da una significativa perdita di peso durante un periodo di almeno un mese (DSM IV tr). In questi casi, dopo aver escluso particolari condizioni mediche associate, è auspicabile ricorrere prontamente ad una terapia.

Molto spesso l’esordio del sintomo può essere correlata ad eventi specifici occorsi nella vita del bambino: una malattia, un trasloco o l’affidamento ad una nuova figura di accudimento, come succede durante l’inserimento al nido.

In questo caso, è importante la cooperazione tra i genitori e la nuova figura, con lo scopo di condividere abitudini e routine, per rendere il passaggio meno brusco; è importante inoltre pianificare insieme l’introduzione di nuovi cibi e l’inizio dello svezzamento, per far sì che il bambino ritrovi le stesse modalità di somministrazione del cibo sia a casa che a scuola: la presenza di questa forma di coerenza in tutti i contesti di vita del bambino, dona sicurezza, fiducia e stabilità al piccolo.

È comprensibile che un genitore, in condizioni di alimentazione inadeguata del proprio figlio, possa sentirsi inadeguato egli stesso, arrivando ad esperire vissuti di ansia e di impotenza, difficili da gestire.
Il bambino, d’altra parte, può leggere la preoccupazione del genitore in molteplici modi e attivare risposte comportamentali particolari, come reazione allo stato d’animo dei genitori.

Ogni sintomo manifestato, ha un valore relazionale profondo: è probabile che il bambino, attraverso il suo rifiuto, voglia comunicarci qualcosa di specifico e che usi i mezzi e i canali comunicativi che egli conosce meglio, soprattutto quando il linguaggio ancora non è pienamente sviluppato.

In questi casi, un lavoro mirato sulla relazione tra figlio e genitori, ci consente di decodificare il messaggio veicolato dal sintomo, investirlo di un significato e contestualizzarlo, restituendo al bambino e alla famiglia nuove possibilità comunicative.

Anoressia nell'Infanzia

La caratteristica principale di questo disturbo, che esordisce prima dei 6 anni, è una persistente incapacità di alimentarsi adeguatamente e dunque di aumentare di peso con una importante perdita di peso nel periodo di almeno 1 mese.

Tale comportamento non è legato ad un disturbo gastrointestinale causato da una condizione medica generale (per es., reflusso gastroesofageo) e non è dovuto ad un altro disturbo mentale o alla mancanza di cibo.

Manifestazioni associate possono essere:

  • irritabilità e apatia e ritiro, con la possibilità di ritardi di sviluppo. Un apporto calorico insufficiente può aggravare queste condizioni e contribuire alle difficoltà di alimentazione.
  • La malnutrizione può essere letale.
  • l’abbandono, il maltrattamento dei genitori o la psicopatologia degli stessi.
  • Difficoltà di neuroregolazione (ad es. ritmo sonno-veglia).

Esordio e prognosi

L’età d’esordio è in genere nel primo anno di vita, ma anche nei bambini di 2-3 anni; nel caso di bambini d i 2-3 anni c’è un minore livello di ritardo dello sviluppo e di malnutrizione anche se comunque vi è un ritardo della crescita. Riguarda sia i maschi che le femmine.

Nella maggioranza dei casi la crescita migliora dopo periodi variabili di tempo.

Anoressia del Secondo Trimestre (Anoressia Tipica)

Tale disturbo esordisce in modo improvviso oppure progressivo tra i 5 e gli 8 mesi, a volte in coincidenza con un cambiamento dell’alimentazione, come lo svezzamento (anoressia dello svezzamento).

In genere si tratta di neonati vivaci, svegli e curiosi. Viene fatta la distinzione tra anoressia semplice e anoressia mentale grave.

L’anoressia semplice è un’alterazione dell’alimentazione momentanea, che rappresenta spesso una reazione allo svezzamento, ad una malattia, o ad un cambiamento di vita etc.

Spesso il disturbo è aggravato dal comportamento inadeguato della madre che interpreta il rifiuto del cibo da parte del figlio come un rifiuto personale e quindi con sentimenti di angoscia che la spingono a forzarlo a mangiare. A tal proposito a volte basta suggerire alla madre il comportamento da adottare per far scomparire il disturbo. Se invece la madre continua ad attuare un comportamento inadeguato, può instaurarsi una cronicizzazione di tale disturbo che può evolvere in un’anoressia mentale grave. In questo caso il bambino di fronte al cibo manifesta disinteresse o opposizione, diventa magro e pallido, tanto da far pensare ad altre malattie somatiche (inesistenti).

Nel caso dell’anoressia mentale grave è necessaria una psicoterapia della coppia madre-bambino che tenda a diminuire l’angoscia della madre, in molti casi legata anche a conflitti interiori non risolti.

Anoressia della Seconda Infanzia

Di solito segue la forma tipica e si manifesta con una forte opposizione verso il cibo e frequenti capricci alimentari, come avversioni verso specifici cibi, ruminazione del cibo rifiuto di mangiare e vomito.

Obesità nel Bambino

La diagnosi di obesità viene fatta solo quando il peso dell’individuo supera del 20% del valore normale.

L’obesità colpisce circa il 5% della popolazione scolastica e può insorgere sin dal primo anno di vita; questo disturbo è in progressivo aumento: un bambino italiano su 3 è in sovrappeso, uno su 7 è obeso. A prescindere dal suo inizio, la maggior parte delle famiglie ricorre ad una consultazione solo nel periodo della pubertà.

Cause

A parte un 1% di obesità dovute ad anomalie organiche, sembra che l’insorgenza sia principalmente dovuta a fattori ambientali, socio-culturali e relazionali: in molte famiglie l’eccesso di peso è visto come segno di buona salute, in altre si trovano abitudini alimentari connotate da eccessi alimentari.
Per quanto riguarda l’ereditarietà, gli studi suggeriscono che vari tra il 60% e il 70% a seconda che sol uno o entrambi i genitori siano obesi. Nonostante i trattamenti messi in atto solo il 20% circa delle obesità regrediscono, mentre tutte le altre permangono in età adulta.

Anche se il patrimonio genetico è importante, su esso si inseriscono altri fattori, primo tra tutti le abitudini alimentari e l’irregolarità: il consumo di snack e altri cibi ipercalorici, scarso consumo di verdure. Un ruolo fondamentale ce l’ha anche la sedentarietà e l’assenza di attività fisica.
Tuttavia altrettanto importanti sono gli atteggiamenti familiari: genitori con problemi di peso sono preoccupati del sovrappeso dei figli e tentano di controllare la loro alimentazione, ottenendo effetti contrari. Inoltre il disturbo da alimentazione incontrollata, che consiste nel mangiare velocemente enormi quantità di cibo, nel bambino può presentarsi già verso i 7-10 anni, e favorire la tendenza all’obesità.

In questo caso è necessario un intervento psicologico per aiutare il bambino a ritrovare un equilibrio col cibo, col proprio corpo e con le proprie emozioni.

Disturbi Alimentari in Adolescenza

Anoressia in Adolescenza

L’anoressia colpisce in più del 90% dei casi adolescenti di sesso femminile raggiungendo un picco tra i 15 e i 19 anni.
Colpisce lo 0.5% circa dell’intera popolazione femminile e colpisce maggiormente ragazze appartenenti alla classe socio-economica media e agiata. 

Esordio

In genere l’anoressia esordisce nell’arco di 6 mesi dall’inizio di una dieta che spesso inizia subito dopo un’esperienza di perdita come un divorzio o un lutto. Progressivamente la condotta anoressica si aggrava divenendo più determinata nel suo obbiettivo che è quello di dimagrire. Tale obbiettivo è perseguito attraverso una diminuzione delle calorie assorbite, sia per diminuzione del cibo ingerito, sia per l’attuazione di condotte quale il vomito autoindotto o l’assunzione di emetici e lassativi.
Il dimagrimento è vissuto come una vittoria fonte di intensa gratificazione mentre l’aumento anche lieve di peso è vissuto con rabbia, come una sconfitta.
Spesso inoltre ad aumenti di peso anche lievi fa seguito un’intensa paura di perdere il controllo del proprio peso e di ingrassare senza alcun limite.

Contesto Familiare

Spesso le madri delle anoressiche sono ansiose, ipocondriache, iperprotettive, fredde e fondano buona parte del loro narcisismo sulla figlia; anche l’interesse per l’aspetto fisico del bambino sarebbe molto forte.
I padri invece sono spesso permissivi e docili e piuttosto assenti nelle decisioni familiari. Spesso la coppia genitoriale è disarmonica e uno dei due presenta stati depressivi o tratti psicotici.
Le interazioni familiari sono fortemente influenzate dall’anoressia dell’adolescente e dominate da sensi di colpa e interdipendenza; si alternano comportamenti di seduzione e di preghiera, o di ricatto, di minaccia o anche di indifferenza.  

Evoluzione/Prognosi

L’evoluzione dell’anoressia è strettamente legata all’evoluzione della struttura psicopatologica sottostante al disturbo.
Si distinguono due forme di anoressia:

  • le forme minori che esordiscono verso l’età di 14 anni e che si risolvono nell’arco di qualche mese in seguito agli assestamenti familiari che tale disturbo induce;
  • le forme gravi in cui si verifica un grave deperimento fisico che può anche condurre alla morte.

La morte si verifica in circa il 6% dei casi ed è causata sia dall’eccessivo deperimento fisico che dal suicidio.

Da alcuni studi risulta che il 50% delle anoressiche guariscono in un arco di tempo medio di 11 anni; in altri casi il disturbo si cronicizza e la ragazza anoressica alterna fasi di dimagrimento a fasi di recupero di peso sino a giungere ad un sottopeso rilevante ma stabile. 

Anoressia Maschile

L’anoressia mentale maschile è molto più rara di quella femminile attestandosi su una percentuale che va dal 3% al 20%.

Secondo alcuni autori non si può parlare di una vera e propria anoressia nel maschio .A differenza di quanto si osserva nell’anoressia femminile, nei ragazzi anoressici la paura di ingrassare è secondaria rispetto all’angoscia e alle condotte ipocondriache

Bruch distingue due tipi di anoressia mentale:

  • l’anoressia mentale vera in cui domina la ricerca di un corpo magro;
  • l’anoressia in cui il dimagrimento è secondario all’assunzione di una dieta ristretta in cui l’assunzione del cibo assume un significato angosciante

Spesso inoltre l’anoressia maschile si inserisce in un quadro psicopatologico più definito come una psicosi paranoide con un investimento delirante sul cibo o come proseguimento di un’anoressia insorta in età infantile o prepubere. 

Anoressia Prepubere

L’anoressia prepubere colpisce il 10% circa degli individui; in genere è associata a disturbi della personalità gravi come psicosi e narcisismo patologico; anche le interazioni familiare sembrano essere gravemente compromesse.

La scarsa alimentazione in questa fase di sviluppo inoltre è causa di un arresto della crescita che, anche se non completamente, è reversibile (si rimane bassi). 

Ipotesi Ontogenetiche

Secondo i modelli ontogenetici l’anoressia dell’adolescente è conseguente ad una relazione difettosa tra madre e lattante; la madre avrebbe risposto alle richieste del neonato in modo caotico, insufficiente, eccessivo o comunque inadeguato; ciò avrebbe determinato il mancato apprendimento da parte del neonato della capacità di riconoscere adeguatamente i bisogni del proprio corpo come la fame e la sazietà, ma anche la fatica e il freddo.

Questa relazione caotica iniziale quindi avrebbe anche provocato difficoltà nella costruzione dei confini dell’Io e dell’immagine del proprio corpo e ciò spiegherebbe la distorsione dell’immagine del proprio corpo che si osserva nelle anoressiche che si autopercepiscono grasse quando sono sottopeso di molto.

Dipendenza Anoressica

Secondo altri autori, alla base dell’anoressia è la dipendenza anoressica che è una particolare forma di dipendenza.

Il bisogno di una relazione con un oggetto esterno è vissuto come una minaccia al proprio fragile narcisismo; ciò porta l’anoressica a negare la dipendenza da ogni oggetto esterno e a spostare tale dipendenza su un oggetto sostitutivo costituito dalla sensazione di fame autoindotta attraverso la deprivazione di cibo; in questo modo la dipendenza è totalmente sotto il suo controllo e lei non ha bisogno di niente e si sente onnipotente.

Trattamento

Tra i vari trattamenti oggi adottati vi è quello ambulatoriale in cui il medico stabilisce un accordo con la paziente in cui si stabilisce un recupero progressivo e regolare del peso, una consulenza psichiatrica in caso di utilizzo di farmaci e una psicoterapia individuale e/o familiare.
In caso contrario si può ricorrere al ricovero ospedaliero con una separazione dall’ambiente familiare che va dall’isolamento quasi totale al semplice soggiorno in clinica, che dura in media dai 3 ai 6 mesi e comporta anche qui un contratto con la paziente in cui si stabilisce la ripresa graduale e lenta del peso.
In ogni caso è sempre necessario intervenire sui meccanismi psicopatologici e relazionali alla base del disturbo.

Bulimia in Adolescenza

La sindrome bulimica colpisce prevalentemente adolescenti di sesso femminile soprattutto in età compresa tra i 12-14 anni e i 18-19 anni.

Essa è caratterizzata da un irresistibile e incontrollabile voglia di mangiare grandi quantità di cibo; ciò suscita il timore di aumentare di peso con il rischio di compromettere la propria immagine corporea e questo spesso induce ad attuare manovre come il vomito autoindotto, l’assunzione di emetici e lassativi, l’iperattività fisica e le diete.

Solitamente l’adolescente è consapevole del fatto che si tratti di un comportamento patologico. Il tratto caratteristico della Bulimia è la presenza di Abbuffate.
Per abbuffata (o crisi bulimica), secondo il DSM-IV, si intende mangiare in un periodo di tempo limitato (di solito meno di due ore), una quantità di cibo molto maggiore rispetto a ciò che la maggioranza degli individui mangerebbe nello stesso periodo di tempo.
L’abbuffata può anche iniziare in un luogo (ristorante) e continuare in un altro (a casa). Inoltre è presente la sensazione di perdere il controllo durante l’abbuffata, rispetto alla quantità di cibo ingerito, rispetto a cosa si sta mangiando e per quanto tempo. Durante l’abbuffata l’individuo ingerisce soprattutto dolci e cibi ipercalorici.

Dopo l’abbuffata in genere l’individuo è assalito da vergogna e senso di colpa per il comportamento alimentare, cercando di tenerlo nascosto: spesso infatti le abbuffate si verificano in solitudine o di notte. L’abbuffata continua finché l’individuo non si sente così pieno da star male.
L’abbuffata può essere innescata da stati di depressione o ansia, condizioni interpersonali di stress, oppure ad un’intensa fame scatenata da restrizioni dietetiche (come nel caso dell’anoressia), oppure da insoddisfazione riguardante il peso o la forma fisica. Si verifica spesso che dopo una dieta particolarmente rigida (fino al digiuno, oppure dieta a base di soli vegetali) sopraggiunga uno stato di deprivazione tale che può essere simile allo stato di astinenza, per cui il bisogno di cibo è così impellente da determinare una perdita di controllo totale, che secondo alcuni corrisponderebbe a una fase in cui l’individuo si lascia andare alle esigenze del corpo.

Nelle fasi precoci del disturbo l’individuo può sperimentare anche un senso di estraneamento, come se l’impulso a mangiare fosse un’entità a sé, proveniente dall’esterno e dunque incontrollabile: alcuni pazienti descrivono le sensazioni associate all’abbuffata come una sorta di derealizzazione, cioè sensazione di trovarsi fuori dalla realtà.
Nelle fasi successive del disturbo, subentra l’incapacità di resistere all’impulso e di interrompere la crisi in atto. 

Condotte di Eliminazione

Molte persone con bulimia mettono in atto diversi comportamenti finalizzati a eliminare o compensare gli effetti dell’abbuffata; quello più usato è l’autoinduzione del vomito (80-90% dei casi).

Il vomito riduce il malessere fisico associato al senso di pienezza, e soprattutto la paura di ingrassare. Altri metodi sono l’uso di lassativi (1/3 dei casi) e diuretici, oppure il digiuno nei giorni successivi all’abbuffata o l’attività fisica intensa (l’attività fisica si considera eccessiva quando interferisce con altre importanti attività quotidiane, se viene praticata in orari o luoghi inusuali, o nonostante le condizioni fisiche precarie).

Alcuni individui usano poi ormoni tiroidei per aumentare il metabolismo cellulare (e bruciare più energia). C’è da considerare che tutti questi metodi hanno forti effetti collaterali, alcuni molto nocivi.
Persino il vomito, da molti considerato innocuo e usato molto spesso, può provocare complicanze: ad esempio lo sviluppo di alcalosi metaboliche (bassi livelli di cloro e potassio nel sangue e alti livelli di bicarbonato) provoca spasmi muscolari; altre anomalie renali ed elettrolitiche come ipomagnesiemia (bassa concentrazione di magnesio nel sangue); a livello gastrointestinale il vomito frequente può produrre ipertrofia (rigonfiamento) delle ghiandole salivari e problemi esofagei causati dal succo gastrico acido che provoca infiammazioni alla mucosa esofagea e ai denti.

Anche i lassativi e i diuretici provocano complicanze renali legate a sistemi messi in atto dall’organismo per conservare i fluidi corporei. La complicanza più grave è l’ipopotassiemia, conseguente a tutti i metodi citati (vomito, lassativi e diuretici) che può provocare aritmie cardiache.
Molte bulimiche sono tuttavia in grado di controllare il peso anche se sono frequenti i casi di sovrappeso e di sottopeso.

La bulimia spesso si trova associata con alternanza all’anoressia e alla dipendenza da sostanze psicotrope come l’alcool e gli psicofarmaci.

Psicopatologia della Bulimia

Sul piano psicopatologico è stato ipotizzato che la crisi bulimica sia una via di scarico su cui si focalizzano tutte o alcune pulsioni che non trovano una via di elaborazione.

Si è anche osservata una certa prevalenza dell’impulsività e della tendenza di passaggio all’atto.

Inoltre è stata rilevata un’analogia tra il rapporto della bulimica col cibo e con gli altri: in entrambe i casi si osservano spesso momenti di improvvisa avidità e momenti di improvviso distacco e rifiuto. 

Obesità in Adolescenza

Nella maggior parte dei casi l’obesità non compare prima dei 6 anni anche se diviene un problema solo con l’adolescenza, quando il corpo comincia a ricevere maggiori attenzioni.

Nella stragrande maggioranza dei casi l’obesità è dovuta ad una eccessiva assunzione di cibo e solo raramente a patologie organiche.
Le condotte alimentari connesse all’obesità adolescenziale sono principalmente l’iperfagia e il pilluccare e derivano per lo più da abitudini alimentari familiari, tanto che spesso anche altri componenti della famiglia sono obesi.

Psicopatologia

Spesso l’adolescente obeso manifesta un certo grado di passività accompagnata da un sentimento di vuoto, di inutilità e di malessere generico che inducono a mangiare.
Sembra che l’adolescente obeso sia incapace di riconoscere e definire e differenziare i propri bisogni e sia portato a ricorrere sistematicamente al cibo di fronte a qualunque stato di tensione interna; tale incapacità deriva secondo alcuni autori (Bruch) da esperienze infantili legate al nutrimento in cui la reazione della madre di fronte a qualunque stato di tensione (e quindi bisogno) del bambino era sempre la stessa: dare da mangiare al bambino.

Trattamento

Secondo alcuni autori l’adolescente obeso è incapace di riconoscere, definire e differenziare i propri bisogni ed è portato a ricorrere sistematicamente al cibo di fronte a qualunque stato di tensione interna.
In virtù di tali ipotesi il trattamento psicologico deve mirare a restituire all’adolescente la capacità di distinguere adeguatamente le proprie pulsioni per poterle riconoscere e dare a ciascuna di esse la giusta soddisfazione: solo quando l’individuo sarà riuscito a fare tali discriminazioni potrà controllare e modificare stabilmente il proprio peso.